Il mondo del fitness (e del web) sembra ormai saturo di teorie e strategie, che sembrano sempre più all’avanguardia, per “velocizzare” i processi di recupero dallo sforzo fisico. Ahimè, quasi nessuna di queste metodologie è supportata dall’evidenza scientifica e in alcuni casi sono addirittura controproducenti se mal gestite.
I tecnici di Renaissance Periodization la definiscono con “il ritorno dei sistemi fisiologici ad una condizione basale, che risulta nel ripristino totale delle capacità atletiche, o almeno a livello sufficienti per permettere un ulteriore sovraccarico progressivo” In sostanza, vi è uno stressor che mette alla prova il sistema, quello stressor viene ridotto o eliminato, il sistema recupera. Tutto questo è applicabile a qualsiasi tipo di performance atletica, ed è alla base dell’allenamento in tutti gli sport: perchè non dovrebbe esserlo anche per il bodybuilding?
FATICA
Cosa contribuisce ad aumentare i livelli di fatica?
Fattori legati all’allenamento:
Fattori legati allo stile di vita:
La fatica si manifesta sia a livello centrale (cuore, polmoni, cervello, ossa), che periferica (muscoli e tessuti innervati).
Il problema è che questa fatica si accumula e accumula nei giorni, settimane, mesi. Cosa fare per ridurre la nostra tolleranza alla fatica? Allenarsi. Ma l’allenamento, come detto prima, è anche una fonte di fatica, se non propriamente bilanciato. Eccoci qui ad un paradigma molto importante (Fitness Fatigue Paradigm):
lo stress da allenamento porta a miglioramenti al livello di fitness generale e contemporaneamente ad un aumento della fatica
la fatica residua o accumulata maschera i risultati ottenuti
i nuovi guadagni ottenuti (adattamenti) si manifesteranno solo una volta che la fatica è stata alleviata o dissipata.
Generalmente, gli adattamenti si manifestano durante il recupero.
Sembra così che la fatica sia uno spauracchio da eliminare ed evitare ad ogni costo. Non esattamente:
E’ necessario quindi distinguere le strategie veramente efficaci dal non-sense.
Allenarsi all’interno del proprio “MRV”. Innanzitutto partiamo dal presupposto che la fatica da allenamento nasce quando ci si sta allenando OLTRE il proprio MRV, ovvero Maximum Recuperable Volume, in sostanza il massimo volume recuperabile dal nostro organismo in un dato momento.
Il modo più efficace per evitare di “strafare” è ricercare costantemente un equilibrio, che ci permetta di fare ciò che è necessario, che “stimoli”, senza andare però oltre.
Recupero passivo. Successivamente si possono implementare pratiche di recupero passivo: tecniche di rilassamento, migliorare la qualità o la quantità del sonno, passare del tempo a rilassarsi, effettuare pratiche di stress management, autoregolarsi, ricercare il supporto sociale, in questo ordine di importanza.
Alimentazione. Appare evidente come anche la nutrizione svolga un ruolo decisivo in tal senso: apporto calorico, macronutrienti, timing dei nutrienti, fonti alimentari.
Recupero attivo. All’interno della nostra stessa programmazione possiamo inserire delle fasi nelle quali il recupero viene incentivato per andare a dissipare parte della fatica accumulata. Si parla di deload, generalmente settimane nelle quali l’allenamento è strutturato come le settimane precedenti di sovraccarico ma con decisamente minore volume di lavoro.
Di conseguenza è consigliabile apportare modifiche all’interno del mesociclo e del macrociclo annuale al volume allenante, in modo da “prevenire”, per quanto possibile, di strafare. E’ possibile inserire inoltre dei periodi di vero e proprio riposo attivo (magari con della blanda attività aerobica) oppure con sedute molto leggere.
Capita spessissimo che la gente si chieda: cosa posso fare/aggiungere al mio programma o alla mia routine per migliorare il recupero? Beh, non è possibile semplicemente aggiungere qualcosa e sperare che magicamente porti ad un migliorato recupero. Se ciò fosse possibile vorrebbe dire che il nostro programma era semplicemente mal calibrato.
Come possiamo affrontare il problema in modo sensato?
Se già ad una sola di queste domande appena riportate non è possibile rispondere chiaramente beh, forse dovremmo chiederci se il metodo di recupero in questione meriti il nostro tempo.
Quindi, nel caso volessimo prendere la pratica dello Yoga come esempio e sottoporla a questo procedimento riferendoci al punto 1 (evidenza scientifica):
Questo procedimento scientifico può essere applicato quindi a tutte quelle metodiche che non rientrano tra quelle sopracitate e sulle quali vi è ampia evidenza e consenso riguardo agli effetti e all’efficacia.
Altre metodiche “incerte” potrebbero essere, ad esempio, la coppettazione, tecar, e così via.
IN SUMMA: PENSIERO CRITICO
Cosa portarsi a casa: sfruttare le “basi”, ciò che è provato essere davvero efficace e valido con logica e metodo, senza ricercare sempre la novità: non esistono “trucchi”.
Questo modo di procedere nella valutazione dell’efficacia dei metodi di recupero e in generale questo modo di ragionare ricade sotto la denominazione di “pensiero critico” e lo potete applicare a qualsiasi argomento, che sia legato all’alimentazione, allenamento e così via: cercate sempre quindi di essere oggettivi, svincolati da ogni possibile influenza condizionante che sia per esperienza diretta o indiretta, evitate i bias cognitivi cercando sempre di valutare in modo critico e imparziale qualsiasi cosa vi si ponga davanti.